MoneyRiskAnalysis – Borsadocchiaperti

S'ode un grido nella vallata. Rabbrividiscono le fronde degli alberi, suonate le campane, il falco è di nuovo a caccia!

Nel 2011 sembra materializzarsi la tendenza ad un aumento dell’inflazione globale. Questo a mio parere sarà l’elemento chiave che determinerà il futuro dei mercati, troppo legati, da diciotto mesi a questa parte, alle politiche monetarie delle banche centrali, in particolar modo della Fed, che ancora ad oggi (per pura comodità) descrive il livello d’inflazione come inaspettatamente basso. Così questo atteggiamento permette di rassicurare i mercati, che continuano a scommettere su un proseguimento del QE2 e se ciò non bastasse di un nuovo QE3. Bernanke si dice convinto di poter tenere sotto controllo l’aumento dei prezzi, qualora si presentasse il problema e su questo punto non vi sono dubbi, viste le armi a disposizione. Altra questione sarebbe invece quella della reazione dei mercati difronte ad un improvviso allarme.
L’inflazione, se guardiamo ai dati delle ultime settimane, è invece inaspettatamente alta in Europa. L’aumento dei prezzi in Spagna ha raggiunto il 3% mentre in Italia da tempo non veniva superata la soglia del 2% attestandosi sulla media europea del 2,2. Vorrei solo ricordare che all’inizio del 2010, l’inflazione europea si attestava poco sotto la soglia dell’1%, mentre il tetto programmato dalla Bce è al 2%. Anche in questo caso le parole di Trichet sono mirate a rassicurare i mercati, dicendosi convinto che i prezzi rimarranno attorno alla soglia programmata per tutto il 2011, a causa principalmente dei rialzi delle materie prime, dopo di che dovrebbero stabilizzarsi.
A parte le parole rassicuranti dei governatori, il cui tono continua obbligatoriamente ad essere amichevole con i mercati, non dobbiamo trascurare il risveglio della produttività in corso negli Stati Uniti e anche in Europa. Questa dinamica, se guardo anche all’aumento della capacità utilizzata negli Stati Uniti o ai prezzi all’ingrosso in Germania saliti dell’1,8%, potrebbe dare un’accelerata improvvisa dei prezzi al consumo nei prossimi mesi, tale da trovare impreparati i mercati.
Ovviamente ci troviamo assai lontani da un surriscaldamento dell’economia e quindi ad oggi possiamo considerare la situazione sotto controllo. Ciò non deve impedire comunque un atteggiamento vigile.
Se da un lato osserviamo una ripresa dei paesi occidentali, dall’altro dobbiamo registrare una fase di raffreddamento pilotato di alcuni paesi emergenti, come Cina e India. Il dato sulla bilancia commerciale cinese ha sorpreso molti operatori in negativo, mentre la crescita della produzione industriale in India si è attestata al 2,5% rispetto ai ritmi a due cifre di alcuni mesi fa.
Sembra quindi iniziata la fase di consolidamento desiderata dei paesi emergenti e questo dovrebbe essere un probabile fattore calmierante per la crescita dei prezzi, se non fosse per il dovuto e inevitabile rialzo salariale. Pressioni in tal senso sono presenti soprattutto in Cina e in Brasile. A raffreddare alcune economie emergenti inoltre hanno contribuito sicuramente alcuni fattori come: politiche restrittive interne (vedi Cina e in ultimo l’aumento del tasso di sconto in Corea al 2,75 dal precedente 2,5) e rivalutazione del cambio (vedi India e Brasile).
Lo scenario fin qui descritto dovrebbe essere di aiuto per intraprendere le seguenti strade:

  1. L’atteggiamento amichevole delle banche centrali occidentali, volte a migliorare il tasso di occupazione dovrebbe contribuire alla presenza nel lungo termine di rendimenti reali negativi sulla parte obbligazionaria a tasso fisso. Nasce da qui la necessità di privilegiare i titoli legati all’inflazione per quella parte da destinare alla parte lunga della curva. Le incertezze presenti sulla dinamica dei prezzi futuri, inoltre, obbliga a tenere una buona dose di liquidità su titoli con vita media non superiore ai tre anni. Se a questo aggiungiamo le problematiche legate alla precarietà dei paesi Piigs, che in alcuni casi hanno alzato già bandiera bianca, chiedendo aiuto all’esterno dell’Ue (vedi Cina anche se non in modo ufficiale), resta doveroso scegliere prevalentemente all’interno di rating a tripla A.
  2. Fino ad oggi l’obiettivo delle banche centrali era stato quello di rivalutare gli asset (in particolar modo materie prime) al fine di scongiurare la deflazione. Questa problematica sembra adesso invertire la rotta. Un’obiettivo quindi sarà quello di riequilibrare la forbice creatasi tra materie prime e altri asset, come quello azionario e soprattutto immobiliare, ancora a livelli piuttosto depressi. Quest’ultimi due rappresentano una chiave importante al fine di rianimare i consumi che da tempo sono su livelli anemici. Al momento non mi interessa tanto se le autorità riusciranno in questo. Piuttosto mi accontento di sapere che nella complessità, il mercato delle materie prime potrebbe avere delle avversità proprio da coloro che per primi hanno contribuito al rally degli ultimi 24 mesi.
  3. I segnali avvenuti in questi giorni sui mercati azionari occidentali è una conferma di quanto rimanga ancora amichevole l’atteggiamento delle banche centrali. In particolar modo, l’Eurostoxx è riuscito a riportarsi sopra ai massimi dall’aprile 2010, grazie, questa volta, all’apporto del settore più trascurato come quello bancario, che comunque rimarrà per lungo tempo fra i più fragili, a causa delle forti incognite che lo caratterizzano e delle prospettive sul mercato immobiliare ancora poco rassicuranti nel lungo periodo. Ciò non impedisce, al fine di equilibrare meglio un portafoglio azionario, di poter fare un’accurata selezione all’interno del settore. Segnali di ulteriore forza, provengono invece dal comparto tecnologico. Il Nasdaq 100 addirittura ha superato i massimi del 2007. Su questo comparto credo che si possano nascondere ancora le migliori opportunità, soprattutto sul lungo periodo. Anche in questo caso la scelta dei titoli sarà determinante, in quanto all’interno vi sono molti settori fra di essi scorrelati: energia alternativa, internet & co, smartphone e biotech, settori dei quali altri indici sono piuttosto avari. Nel complesso i mercati anglosassoni sembrano quelli con le carte migliori, con l’apporto del Dax che trova comunque resistenze non trascurabili nell’area 7100/7150.
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